A otto anni io giocavo tutto il giorno. Qualsiasi cosa facessi era gioco. Immaginavo tutto quello che veniva da immaginare e tutto diventava altro. Un altro meraviglioso. Meraviglioso soprattutto ora, che per giocare devo fare un certo sforzo. Meraviglioso perché ora vedo un albero e allora era una foresta sospesa tra paludi e cielo. Ora io vedo una casa e mi ci vuole un certo sforzo per vedervi una nave, che viaggia nell’Oceano dell’Essere, alla ricerca del tesoro, eccitata da questa avventura. Eppure, in un certo senso, sto ritornando a quello che facevo allora. Sto ritornando al gioco. Ho smesso di prendere così sul serio queste vicende umane. Abbandono volentieri i ragionamenti responsabili, consequenziali, che chiedono ad ogni passo una conferma oggettiva. Dove ci si perde? Dove ci si ritrova? Io mi ritrovo pienamente nel gioco, noncurante di tutti i richiami seri del mondo. E nasce un altro mondo. Migliore di quello che ci raccontano tutti i giorni.