Resto tra le case, sulla collina.
Voglio sentire il fruscio delle fronde, toccare la pelle degli alberi, entrare negli spicchi di cielo, fuori dai recinti.
Sul ciglio della strada, cammino a sinistra, per vedere in faccia l’auto che mi sfreccerà vicino. Non voglio sorprese alle spalle, che mi distraggano dal muschio sulla sponda, e dai sussurri delle felci, che raccontano storie antiche.
Voglio vedere la pianura, là sotto, dove i problemi ridimensionano l’ansia, da quassù.
Voglio sognare di essere nomade e pellegrino, per poco tempo, da queste parti.
Sentire l’urlo della solitudine per sorriderle in faccia.
E placare il mondo con l’indice e il pollice.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
Ognuno doi noi almeno una volta è padrone dell'universo. Stiamo svegli, per accorgerci del nostro momento.
RispondiEliminaBellissimo profilo complimenti.
RispondiEliminaIo AMO le tue foto! e poi scrivi benissimo!
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