L’aeroplano vola nel pomeriggio svogliato; e non dà l’impressione di voler atterrare: certo, scende d’un po’, ma (subito!) riprende la quota. Allora, io guardo laggiù, nel fondo: sotto al cielo, tra il verde e le colline, ci sono due uomini in piedi, con indosso impermeabili chiari, benché non guizzi nemmeno una pulce assetata di pioggia. Sono professionisti, quei due: fanno il sopralluogo del campo là in fondo, inclinato a piombo sul lago. Ieri, il campo garriva del mais alto ormai già maturo. Oggi, invece, eccola lì, la terra: ridotta a creta arsa, a mondo non ancora in uso: a niente, cioè. Fermi in piedi dentro lo spazio d’abisso, i due hanno intorno illimitato silenzio, e bisbigliano senza suoni. Quei due non possono neanche più captare l’aereo volante. D’un tratto, salta fuori un cellulare, uno dei due mi chiama: - È una soffitta del tempo - mi dice - Non credo che decideremo d’uscirne -.