Avevo un po’ di compassione per me. E volevo bene a quasi tutto il mio prossimo.
Mi sembrava che non riuscissi a mettere molto lievito nella pasta delle mie giornate. Era una sorta di attesa. Un capitolo in cui non succede quel colpo di scena che ti fa sentire sulla cresta dell’onda.
Ma faceva parte della mia storia. La quale andava avanti.
La mia pazienza sembrava giustificata.
Ci scommettevo.
Stavo sperando, al posto di disperare.
Vieni, questa sera, con i tuoi piedini che suonano la tromba delle scale. Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro. Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa.
Sperare a volte inganna, disperare non aiuta mai.
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