Avevo un po’ di compassione per me. E volevo bene a quasi tutto il mio prossimo.
Mi sembrava che non riuscissi a mettere molto lievito nella pasta delle mie giornate. Era una sorta di attesa. Un capitolo in cui non succede quel colpo di scena che ti fa sentire sulla cresta dell’onda.
Ma faceva parte della mia storia. La quale andava avanti.
La mia pazienza sembrava giustificata.
Ci scommettevo.
Stavo sperando, al posto di disperare.
 
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui. 
 E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.  
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno.  E che il di più non è spreco ma abbondanza.       
Sperare a volte inganna, disperare non aiuta mai.
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