Il traffico è notevole, cerco di sfruttare l’inerzia del motore e frenare il meno possibile. Il semaforo è rosso, rallento, tocco appena il freno fino a fermarmi. Sul sedile di fianco a me il telefono ed il portafoglio.
Ne approfitto per guardare i messaggi, tanto per ingannare quei due minuti di attesa. Da quando ho comprato il telefono nuovo non riesco a stare in auto senza fare nulla, non mi accontento più di pensare o di guardare fuori: ogni volta, anche quando sto guidando - per non parlare poi quando il traffico mi impone di attendere in coda - un incontrollabile impulso mi induce a prenderlo tra le mani per cercare, fare, vedere, immaginare, contattare cose o persone di cui non avrei affatto bisogno, però lo faccio lo stesso.
Con il capo chino, senza ormai più badare al verde che potrebbe accendersi da un momento all’altro, immerso nei fatti degli altri, vedo un’ombra accanto a me fino a sentirne quasi l’odore. Una mano tesa e sporca quasi mi tocca la spalla. Le porte della mia auto sono chiuse, mi dico, in città le chiudo sempre. È il finestrino che è aperto. A pensarci bene quest’anno è la prima volta che viaggio con il vetro abbassato. L’aria si fa respirare. Quella mano estranea mi induce istintivamente a portare la mia sull’interruttore e il vetro inizia veloce a salire, alzo la testa, scatta il verde e riparto.
Era solo un lavavetri e per poco non gli staccavo la mano. Pochi secondi, un altro semaforo, nell’abitacolo torna a fare caldo, riabbasso il finestrino e non ci penso già più.
Ne approfitto per guardare i messaggi, tanto per ingannare quei due minuti di attesa. Da quando ho comprato il telefono nuovo non riesco a stare in auto senza fare nulla, non mi accontento più di pensare o di guardare fuori: ogni volta, anche quando sto guidando - per non parlare poi quando il traffico mi impone di attendere in coda - un incontrollabile impulso mi induce a prenderlo tra le mani per cercare, fare, vedere, immaginare, contattare cose o persone di cui non avrei affatto bisogno, però lo faccio lo stesso.
Con il capo chino, senza ormai più badare al verde che potrebbe accendersi da un momento all’altro, immerso nei fatti degli altri, vedo un’ombra accanto a me fino a sentirne quasi l’odore. Una mano tesa e sporca quasi mi tocca la spalla. Le porte della mia auto sono chiuse, mi dico, in città le chiudo sempre. È il finestrino che è aperto. A pensarci bene quest’anno è la prima volta che viaggio con il vetro abbassato. L’aria si fa respirare. Quella mano estranea mi induce istintivamente a portare la mia sull’interruttore e il vetro inizia veloce a salire, alzo la testa, scatta il verde e riparto.
Era solo un lavavetri e per poco non gli staccavo la mano. Pochi secondi, un altro semaforo, nell’abitacolo torna a fare caldo, riabbasso il finestrino e non ci penso già più.
I tuoi racconti sono strani, nascondono qualcosa che è difficile cogliere!
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