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La notte dell'assassino

Sì, era proprio così. Così come sto per raccontarla. Quella stanza che di giorno emanava un’atmosfera magica e fantasiosa, con la luce che filtrava dalle persiane e le ombre che correvano lungo il soffitto man mano che i veicoli si spostavano sulla strada, di notte, e per un lungo periodo, diventò il ripostiglio maledetto di incubi paralizzanti. Succede a molti bambini, lo so, ma  allora questa conoscenza non mi avrebbe assolutamente consolata nel momento dell’angoscia.


Cosa succedeva? 

Che nel cuore della notte io mi svegliassi con l’incubo di un assassino nella stanza, che stringeva un grosso coltello, proprio lì, nel buio, pronto a vibrarlo sulle mie tenere carni. Io non fiatavo, e non riuscivo a muovere un dito. Come se anche solo a muovere una gamba fosse bastato a scatenare la folle violenza omicida dell’assassino. Come se i comandi tra cervello e arti avessero subito un’interruzione.


Fu solo dopo molte notti che imparai a uscirne.


Incominciai a muovere, lentamente, molto lentamente, la mano sotto le lenzuola, avvicinandola all’interruttore che penzolava sulla testiera del letto. Ci potevo mettere un’eternità, perché l’assassino non doveva accorgersene. Ma, alla fine, riuscivo a raggiungere l’attrezzo e, click, la luce si accendeva.


A quel punto la stanza si rivelava vuota e l’incubo evaporava. Il cuore riprendeva a battere. E io ero salva.


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