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E se nessuno ti vedesse?

All’inizio dell’era moderna, Cartesio trovò nel “Cogito, ergo sum” la certezza di base e il criterio di verità fondamentale. In un certo senso, oggi, le pretese del padre della filosofia moderna sembrano modeste e suscitano un sorriso di benevolenza. A lui era sufficiente rendersi conto di pensare, e anche solo dubitare, per raggiungere la certezza assoluta di esistere. Oggi sembra che pensare non basti più.

Sei sicuro di esistere se non compari sullo schermo ?
Qualcuno si chiede se al di fuori di ciò che avviene in televisione o nei social esista davvero qualcosa. Peggio ancora: se le cose che si fanno, nella realtà “materiale” del mondo, guerre comprese, non si facciano che per comparire.

Il che porterebbe al paradosso che della nostra vita cerchiamo di fare un copione per uno sceneggiato. Rovesciando di 180 gradi la prospettiva tradizionale.

Sto esagerando, lo so. Ma è solo per sottolineare che, al contrario, per la crescita personale, per essere e diventare davvero ciò che siamo, la non visibilità potrebbe essere una chance decisamente migliore.

Ecco allora emergere la categoria della non visibilità come appannaggio di un’autonomia nell’essere che si sottrae agli aspetti inquinanti dello spettacolo.

Fare cose belle e buone senza che nessuno lo veda, appagati della semplice approvazione interiore, potrebbe essere lo spazio ecologico per un ritorno dall’artificiale al naturale.
 Per ritrovare la fonte, la presenza, l’attenzione.

La non visibilità potrebbe essere lo spazio dove poniamo domande sincere su noi stessi, sui nostri veri bisogni e desideri.
 La nostra vita pubblica è forse troppo satura di artificio, di spettacolo, di visibilità intenzionale perché possano risuonare dentro di noi i richiami che ci costituiscono.

La visibilità dello spettacolo non è automaticamente epifania. Questa ha forse bisogno del nascondimento.

 





 

 

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