Passa ai contenuti principali

Qualcosa di non finito...

Stamattina mi sono svegliata con uno strano pensiero nella mente. Ci ho rigirato un po’ dentro prima di alzarmi. Mi sembrava quasi blasfemo, certo paradossale, ma aveva presa su di me, come qualcosa che ha una sua forza intrinseca, e che pretende una sua verità. Sta a te scoprirla.
Più o meno, il pensiero diceva questo. Che Dio è come la pace nel mondo: semplicemente “non c’è”. Qualcosa di troppo bello, ma che non esiste. Caso mai è “da fare”. E poi mi riecheggiava nella testa: un Dio da fare?! Ha un senso tutto questo?
Lo so che tu che sai la teologia mi hai già mandato a stendere. E certo me lo merito, perché sparo le parole senza creanza. Ma ancora adesso, che è sera, continuo a ripetermi: un Dio che non c’è, caso mai che è da fare!
Certamente ho più simpatia per gli atei che per i teologi credenti. Penso che gli atei siano teologi più fini. Sanno indicarci con maggiore precisione quale Dio non possa esistere o – che è lo stesso – che se esistesse, bisognerebbe combattere.
Il pensiero di questa mattina, io credo, ha a che fare con la verità dell’ateismo. Ma non so spiegarmi molto perché.
Subito dopo – sempre questa mattina – pensavo che nel mio piccolo mondo, nel mio privato, “fare Dio” era abbastanza facile e a portata di mano. Basta una camminata al sole lungo le colline, basta l’ebbrezza di un sorriso di un amico, basta il gioco dei bambini sul monte di sabbia al parco...Eppure, anche qui, dopo il momento di gratitudine e di gioia per essere quello che sei, per sentire quello che senti, viene subito lo strano gusto del non finito…
Il non finito… Qualcosa che non è tutto, qualcosa che è come un aperitivo…
E questa sensazione di non finito ti viene ad occupare l’animo con una tale presenza che tutta la sensazione del compiuto, del fatto e di ciò che è stato diventa ombra morta, fredda e greve, pur nella sua bellezza.
E che dire? Questa sensazione del non finito mi mente in sintonia con l’idea che il Dio non sia, ma sia da fare…

 





 



 

Commenti

Post popolari in questo blog

Effimero e durevole

Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui. 

 E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.  

E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno.  E che il di più non è spreco ma abbondanza.       

Il futuro mi accende

Amo l’intelligenza che sa evocare energie, che sa eccitare la mente, sollecitarla a mettere al mondo cose che prima non c’erano, a rinnovare la vitalità bambina, curiosa, intraprendente, capace di gioire del suo lavoro, sempre di nuovo, ogni mattina.    

Un caldo abitare

C’è un luogo caldo dove abita il nostro desiderio e la nostra fede. La casa dove i nostri sogni trovano conforto e rinascita. Coltivati dalla carezza dolce della Vita. 
Noi ci torniamo ogni sera, quando il corpo è stanco e le viscere sentono la fatica. Quando il respiro si fa più pesante e lo sguardo si carica di stanchezza.
 Sappiamo che lì il riposo ci rinnoverà. E chiudiamo gli occhi, affidati, abbracciando il morbido cuscino.