Voglio trovare nuovi modi di guardare alle cose con cui traffico ogni giorno? La solita visione non è l’unica. Lo so e lo desidero.
Voglio una sorsata di giovinezza scaturita da uno sguardo nuovo. Più dentro, più oltre, più sopra. E anche fuori dalle solite filosofie.
Quanto tempo ci vuole alla mente per evolvere?
Guardo l’universo. Qualcosa che non conosco sta facendo qualcosa che non so. Avverto tutto il pathos di questa posizione. E tutto lo stupore dello sguardo di un’intelligenza che non si vuol perdere lo spessore del mistero, mentre spinge avanti l’occhio per afferrare qualche frammento di luce.
Tutto il sapere che ci siamo costruiti appartiene ad uno spazio minimo di consapevolezza. La vita appare come un semplice aperitivo di se stessa. E l’amore come il vagito di ciò che aspira a diventare.
Anche se si mostra pesante e pensosa, tutta la nostra saggezza è erba bambina. E le nostre facoltà, i nostri talenti, chiedono di essere liberati dalla zavorra più che riposare su archivi di risultati accumulati.
La nostra è un epoca in cui l’aspirazione a volare liberi e leggeri conquista territori sempre più estesi d’espressione. Le storie d’amore si riducono a intensi scambi di sguardi mentre si attraversano le strisce pedonali. Fantasie istantanee durante il tragitto del tram da una fermata all’altra. Sorrisi intrecciati davanti l’entrata del negozio. Un attimo dopo, tutto è finito. Tutto ricomincia.
Le visite della verità sono fugaci. La luce delle intuizioni, imprendibile. I segnali che contano sono nella visione laterale, in tralice. La nostalgia si fa poesia leggera, mentre lo sguardo si solleva alle nuvole, alla ricerca dell’altrove.
Troverò nuove parole, masticando quelle vecchie. Aprirò la porta a nuovi pensieri battendo con i polpastrelli la tastiera del computer.
Suonerò la mia musica per conoscermi meglio.
E ogni mattina darò una risposta fresca alla domanda che mi porto dentro. Chi sono? Dove vado? Cosa sogno davvero?
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
Commenti
Posta un commento