Non devi stare nei confini imposti da una concezione fatalista della malattia. “Non c’è più nulla da fare. Rassegnazione, accettazione del declino, limitazione dell’operosità”. A volte sono gli altri che te lo impongono. Ma l’imposizione non funziona senza la tua complicità. In fondo hai già deciso nella tua testa che “ormai posso fare più poco!”. Uscire da questi margini. Bucare i confini. Per conoscere “cosa si può fare così”.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
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