Quando sto male – come tutti – piango, prego, mi inquieto, dispero, mi abbandono, mi arrendo e mi do da fare.
Riuscire ad isolarmi nell’adesso è come rannicchiarmi attorno alle mie ferite. Aspetto che passi – se passerà – risparmiando le forze.
E riesco a trovare anche una certa pace. Mi accontento di essere. O di essere stata.
Vieni, questa sera, con i tuoi piedini che suonano la tromba delle scale. Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro. Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa.
Che bel post o
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