In realtà era per parlare. Perché apprezzavo molto le tua compagnia quando settimana si andava a fare una scampagnata, mangiando all’aperto, nel bosco o sulla riva del torrente. All’aperto era tutto più energico. La digestione e anche i nostri pensieri. Ci sentivamo esperti di tutto, pur sapendo di non conoscere nulla nella maniera che avremmo voluto. Ma le nostre parole, quelle che ci scambiavamo l’un l’altro, avevano un grande potere: ci inducevano a pensare.
Perché i pensieri non sono delle frasi incise sulla pietra. Sono momenti di un viaggio, di un cammino. Il pensiero vuole essere sempre vivo, vuole girare sulle cose con le sue capacità, e anche col senso dei sui limiti. E solo continuando a fare attenzione, a posarsi sui temi nei vari momenti della vita, solo così contribuisce alla vitalità del tutto.
E quelle discussioni non volevano scrivere una Bibbia. Volevano farci pensare. Pensare all’aperto. Che è molto diverso che pensare al chiuso, nel proprio studio, o nell’ambiente di lavoro.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
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