Mi vengono in mente questi pensieri:
ecco una spiritualità che viene in soccorso della speranza nei momenti bui. Ma la spiritualità è così strettamente legata alla sofferenza?
Le religioni e le saggezze che ci vengono dalla tradizione hanno tante cosa da dire e da offrire alle persone che versano in momenti difficili, dolore, malattia, angustia, angoscia, mancanza di senso…
Dunque, è proprio vero quel che si diceva una volta del Dio tappa buchi? Che Dio sorge nel momento in cui l’uomo si riconosce debole e malato?
Insomma, lo capisci quel che voglio dire: non mi ritrovo con senso di dignità di fronte a una spiritualità, a una religiosità, a una fede che si fa avanti proprio in forza della debolezza e della malattia.
Penso che non sia giusto, che non sia onesto, che non sia bello.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
È un Divino molto umano
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