Comunque la cosa era interessante. Mi piaceva esserci e non facevo tante domande. Però per dirlo a parole, erano le parole inventate prima di me e usate da altri che mi si imponevano. All’inizio, non volevo imparare a parlare. Mi sembrava una forzatura. Una violenza. Io – fosse stato per me – avrei continuato a vivere senza parlare. Solo facendo e sentendo. In silenzio. C’era bisogno di dirlo?
La gente però parlava e sapevo che avrei dovuto imparare a parlare anch’io. Un giorno mi ci son messa d’impegno e ho incominciato a imparare le parole.
Le parole sono grandi. Hanno un potere fantastico. Poi sono veramente tante. E combinate insieme possono fare frasi spettacolari. E possono perfino ottenere dei risultati, vale a dire, creare le cose che dicono.
Sono diventata presto brava con le parole. E ho anche imparato a fingere, dicendo con le parole cose che non erano, soprattutto se riguardavano me.
Mi sono anche accortoa che raccontando parole-bugie agli altri riuscivo perfino a ingannare me stessa. E di qui sono passata al teatro, dove le bugie si dicono sapendo tutti che sono tali. E quindi non sono più bugie.
Io non credo nei miti, nelle favole e nelle leggende. Le trovo solo infinitamente affascinanti. E vorrei inventarne di indimenticabili.
So che quello che dicono le favole è quasi sempre vero, in qualche modo.
Con le parole vorrei fare centro nel bersaglio, ma senza usarle come fa il chirurgo in sala operatoria.
Preferisco prima parlare e poi cercare di capire quello che ho detto, piuttosto che il contrario. Ma se è possibile, vorrei che dire e pensare coincidessero.
So che le parole non si mangiano, ma aspiro a trovare da mangiare anche solo facendo parole. Però che siano parole che toccano il cuore e che rivelino qualcosa. Altrimenti non le sopporto.
Anzi, penso che avvelenino
Parole sugose, ripiene, grondanti di sentimento.
RispondiEliminaSe no non ha senso