Mia
madre guardava la televisione. Le piacevano le storie romantiche. Si
commuoveva ed era totalmente presa. Poi, quando la puntata era finita,
si alzava e rientrava nella sua vita di routine, dove (io lo sapevo) era
infelice.
Ero solo un a
ragazzina, ma credo di aver cominciato da allora a capire che non mi
sarebbe bastato l’intrattenimento televisivo come nutrimento delle mie
emozioni: avrei ricercato attivamente una mia storia reale interessante,
appassionata, significativa.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
Non vivere mai il reale come un afiction, i piedi stanno per terra.
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