Io non voglio lavorare. Io voglio essere me stessa, esprimermi liberamente e con passione. Trovare nei risultati il riconoscimento della bellezza della mia avventura. Inventare le modalità mie di stare nel mondo così com’è, ma senza esserne schiava.
Non voglio che la creatività sia una delle tante scuole a cui mi sottometto. Voglio che la creatività sia la mia avventura, il modo in cui io conduco la mia nave nell’oceano della realtà. Fino alla meta.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
Tutto è un'avventura...
RispondiEliminaStupefacenti equilibri
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