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A Barcellona!

(Dedicato a Cristiano e Andrea)

Mi piace sentirti dire che vuoi andare a Barcellona, iniziare una nuova vita, e mettere su la tua impresa. Hai un buon lavoro, un ottimo stipendio e quello che fai non ti dispiace affatto. Ma tu vuoi andare a Barcellona.


C’è qualcosa nel tuo spirito indomito che t’impedisce di star seduto comodo e tranquillo sulla tua poltroncina. Ed è proprio questo che mi piace di te.

Te lo dicevo nel vigneto. Ne parliamo ancora un po’?


Era la faccenda di Pinocchio. Sai, ho rivisto il film di Benigni qualche giorno fa. E mi ci son messa a pensare sopra.


Da ragazzina Pinocchio mi piaceva assai. 


Il libro Cuore mi piaceva anche, ma non come Pinocchio. Pinocchio era un burattino selvatico, insofferente delle regole sociali. E io credo di sapere molto bene quello che vuol dire.


Collodi e De Amicis – ho studiato – hanno scritto questi due romanzi come romanzi di formazione nel momento in cui si costruiva l’unità d’Italia e bisognava attrezzarsi per comportamenti adeguati. Insomma, diventare bravi ragazzi.

Pinocchio è dunque il ragazzino selvatico che diventerà un bravo ragazzo – alla fine del libro. È chiaro che Pinocchio è simpatico soprattutto finché rimane burattino, non va a scuola, si prende gioco dei carabinieri, e ne fa di tutti i colori perfino con Geppetto, che – cosa veramente straordinaria – è riuscito a metterlo al mondo semplicemente con una sega.

La svolta della storia avviene quando scopre che, a vivere a quel modo, sta diventando un asino. Questo lo spaventa a morte e allora si converte. Lui che non ne voleva sapere di scuola e di lavoro, ritornerà a scuola – miracolosamente motivato e sorridente – e si metterà a sgobbare per portare il latte a Geppetto e per ricomprargli la giacca. Nel film di Benigni questa parte è veramente molto esplicita. Pinocchio lavora a una macina, facendo proprio il lavoro dell’asino che non ha voluto diventare.

Sarebbe come dire – correggimi se vado fuori le righe – che per non diventare un asino si mette a sgobbare come un asino!

Questa riflessione mi è parsa veramente sconvolgente. Dunque, eccolo qua l’inghippo, la trappola dei bei discorsi formativi che cercano di promuovere l’adeguamento – o l’adattamento – alla società e alle sue regole. Per non diventare un asino, sgobbare come un asino!

E allora?
 Dov’è la differenza?

Ho letto con attenzione le teorie dei giusnaturalisti. Norberto Bobbio le presenta in maniera intellettualmente fantastica. 
Pinocchio me lo fa ritornare in mente.

I giusnaturalisti s’impegnarono a pensare razionalmente il passaggio dallo stato naturale dell’uomo – immaginato come totalmente libero, ma anche pieno di pericoli e di limitazioni – allo stato civile, dove si trovava più potere collettivo, più sicurezza e tanti altri vantaggi, ma si era sottoposti all’autorità di un potere, e quindi si doveva rinunciare in tutta o in parte (dipende dagli autori) alla propria libertà naturale.

Insomma, è la situazione di Pinocchio.
 

O sei libero, giocherellone, e fai quel che più ti aggrada – ma allora diventi somaro, non fai parte del consesso civile, sei fuori… Oppure rinunci al tuo spirito di gioco e alla tua indipendenza assoluta e stai alle regole. E quali sono, te lo diciamo noi.

Beh, non hai l’impressione che in questo giro di ragionamento, per quanto liscio possa apparire, si nasconda una trappola? Una sorta di pressione a un passaggio troppo frettoloso?

Io penso di sì, perché infatti, tu che hai un buon lavoro, un buono stipendio, e quello che fai non ti dispiace affatto…, tu mi dicevi – con gli occhi che si accendevano – che volevi scappare a Barcellona, e mettere su qualcosa di tuo. E il nostro amico, che condivide il tuo sogno barcellonese  – in treno per Milano – mi manda un messaggio in cui mi confessa che è stato contento nel vignote “scoprendo che alla nostra età è ancora possibile giocare”.







 

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