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Fuggire

Scena finale di “Gocce d’acqua su pietre roventi” di F. Ozon: il cadavere di Franz giace per terra con addosso solo il cappotto di Vera. Vera ha bisogno d’aria, cerca in ogni modo di aprire la finestra. Insiste. Vanamente. Non ce la fa. Sembra bloccata da qualche oscuro incantesimo. È un limite invalicabile.
"Io non ho bisogno di te. Tu hai bisogno di me"
E allora rimane ansimante come un bestia in gabbia con i palmi delle mani appoggiati al vetro guardando fuori: occhi sciolti, vuoti e persi, nel buio. 
Poi, impotente e rassegnata, abbassa lo sguardo. 
La macchina da presa lentamente si allontana e lei diviene sempre più piccola ed insignificante, prigioniera di quell’elegante appartamento. 

Una devastante sensazione di claustrofobia mi assale. 
E quella finestra bloccata, quelle mura, quell’arredamento cosi ricercato non sono solo un luogo fisico ma un luogo mentale, una metafora di qualcos’altro. 
Indubbiamente è più facile fuggire da un luogo fisico piuttosto che da un luogo mentale che ti segue e ti persegue sempre, comunque e dovunque.

Il mio luogo mentale ha mura molto spesse, porte blindate, finestre sigillate, il citofono rotto e non ho ancora trovato un varco, un passaggio segreto per uscire completamente fuori, una botola magica. Certe volte sento delle voci disarticolate e sconnesse, dei labili rumori all’esterno, sento il fischio di treni che passano ma non conosco gli orari e non li voglio conoscere, certe volte vorrei stabilirmi qui, crearmi i miei spazi, le mie comodità, ed uscire solo per fare frugali spese come i pastori che scendono dalla montagna per andare al paese una volta ogni tanto, certe volte… si, certe volte progetto la fuga da qui, sarebbe una grande impresa, tipo fuga da Alcatraz, non so… ma come dice E. De Luca “nelle imprese la grandezza sta nell’avere in mente tutt’altro”. E poi in fondo non mi piace neppure la parola “fuga”: ero e sono sempre io, e sono qui ed ora pure grazie a ciò che ero. 
E allora si, adesso me ne voglio stare così… “sotto le stelle sparse in cielo come un chilo di farina”.



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