Volevo scrivere un testo per mio blog, ma non sapevo da che parte cominciare. Ero tutta presa dagli scopi.
Il testo avrebbe dovuto avvincere,, trascinare dalla mia parte, indurre interesse per la mia vita e per la mia produzione artistica. Avrebbe dovuto far capire che non producevo soltanto immagini belle, ma avevo un pensiero, collocavo il mio lavoro all’interno di un disegno più generale, che era quello di tener testa al cambiamento, cercare di viverlo al meglio, di farne un’esperienza di apprendimento felice, e cose del genere.
Le parole scorrevano rapide ed efficaci, frecce precise nel centro del bersaglio, quando mi occupavo degli obiettivi ma, una volta definito il compito… ecco, a questo punto, il flusso si bloccava e non capivo perché l’oscurità calasse come un pesante sipario sul proscenio. Non veniva fuori niente.
C’è un salto mortale tra parlare di scrittura e scrivere davvero, riflettevo.
Nel momento, però, in cui rinunciavo a svolgere il compito e mi accontentavo di raccontare questo spiacevole episodio, ecco, allora, succedeva che il parlare di scrittura si trasformasse per magia in scrittura per davvero.
In conclusione, scrivere è raccontare una storia.
All’inizio lo specchio era solo uno specchio. Ma aveva già tutto il mistero e il potere dello specchio. Guardarsi allo specchio non andava senza conseguenze. Il mito di Narciso ne è la testimonianza. Lo specchio poteva servire per controllarsi, per un esame di coscienza, per correggersi, per un sano amor proprio… oppure poteva produrre quell’incanto, quella malia che l’innamoramento della propria immagine mette in scena e che può portare a smarrire se stessi, la realtà e a inquinare i rapporti con il mondo e le persone.
Commenti
Posta un commento