Devo molto al ritrovato contatto quotidiano con la natura. Mi ha fatto uscire da una situazione di inquinamento che mi aveva portato vicino alla fine. Ha ricostituito le mie energie, ha stimolato la ricerca di un modo fecondo e sano di pensare, progettare, sentire.
Ho capito che la natura, la biologia, l’organismo vivente, è una scuola infinita di evoluzione e offre la lezione importante che le forze della vita prevalgono sempre su quelle contrarie. Mi ha spinto ad uscire da vecchi schemi mentali, immettendomi in un processo di continua evoluzione.
Ho capito che lo schema delle stagioni non è semplicemente nascita, crescita e morte, ma nascita crescita morte e rinascita. L’innovazione è insita nel processo naturale. Lo vediamo in primavera: innovazione vuol dire diventare nuovo, vergine, innocente, fresco per ripartire e andare avanti, lasciando cadere le scorie del vecchio.
Sono felice di ripensare tutto, il lavoro, lo stile di vita, l’uso dei mezzi cognitivi, il progettare, il costruire, sulla base del rapporto con la natura.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
Commenti
Posta un commento