Mi hanno regalato un segnalibro con annotati i diritti del lettore (da Daniel Pennac). Il sesto è il diritto al bovarismo.
Lo trovo giusto. Non forse nel senso del triste destino di Emma che Flaubert conduce inesorabilmente fino al suicidio.
Ma certo nel senso di riuscire a vedere le cose diversamente da quelle che “sono”, a sognare delle felicità “irrealizzabili”, “irraggiungibili”.
E questo perché la definizione di ciò che è e di ciò che è possibile fornita dal senso comunemente diffuso continua ad essere piuttosto taccagna. E, lungo il cammino dell’esistenza, siamo piuttosto incoraggiati dagli eventi a perdere il senso dell’abbondanza che aveva ispirato ancora le nostre fantasie di bambini.
Ecco allora che i libri, e la lettura, possono nutrire – contrastando l’entropia – il sogno, la speranza, l’operosità gioiosa, la fiducia, …
In una parola, l’arte di coltivare la gioia di vivere, sollevando quotidianamente dalla melma la nostra energia vitale.
Ed è questo che fa la differenza.
Penso al paradossale destino dell’uomo, questo essere effimero capace di creare cose che durano più di lui.
E penso che forse è un segno, questo, della sua vocazione a lavorare per la vita, oltre i propri recinti personali. E immagino che di qui derivi quella intensa soddisfazione che l'individuo prova quando allarga i rami del suo frutteto oltre la cinta dell’orto. Quando il suo albero produce frutti in abbondanza per chiunque passi sotto e ne voglia.
E penso che la vita sembra non vada a economia, non faccia i conti all'osso, e che butti a miglioni quando serve solo uno. E che il di più non è spreco ma abbondanza.
E "a noi ci" piacciono le differenze
RispondiEliminaAltroché.