Noi
ci parlavamo, ancora, la sera, affacciati alla finestra, sui giardini
del quartiere, mentre la città trapassava dal tempo del lavoro e quello
della casa. E tu dicevi spesso che non c’era tempo, nella giornata, per
pensare a se stessi, alla propria vita, ai sogni, ai desideri… eri
sempre preso da una qualche forma di compito che ti derivava dalla
situazione.
E mi dicevi: ma tu, ma tu, dove?
E rimanevi così, a guardare dietro le mie spalle. E scuotevi il capo, e ripetevi: dove?
Vieni, questa sera, con i tuoi piedini che suonano la tromba delle scale. Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro. Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa.
Lo sapessimo dove... Potremo andare.
RispondiEliminaA volte siamo talmente presi dalle responsabilità dei nostri doveri quotidiani che ci dimentichiamo il nostro dovere di vivere.
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