Chissà se la memoria ha un colore. La mia non più: non ha contorni, non ha pieni, non ha vuoti, non ha un sotto, né un sopra. Ricordi liquidi, senza alcuna forma: pioggia fredda, nebulosa e sottile che silenziosa si perde in mille rivoli e penetra nel terreno, negli interstizi più infinitesimali fino a perdersi senza lasciare traccia. C’è solo un pallido sole e non basta a farla evaporare.
E il tempo non è ciclico, né lineare ma ormai definitivamente frammentato: il cerchio e la linea sono esplosi in una moltitudine di punti indipendenti, dispersi, distinti e distanti, senza dimensione. Punti inerti, senza legante, senza cemento, senza alcuna congiunzione reciproca. Ed io vago persa nell’universo di puntuali possibilità.
C’è fretta, c’è fretta, tutto deve cambiare adesso, basta aspettare, è tempo di spostarsi, di cambiare posizione, insistere è deleterio, abbandoniamoci a nuove e meravigliose opportunità, l’eternità sgomenta…
E sento il terreno sotto i miei piedi che lentamente diventa friabile, si sbriciola, non posso neppure poggiarvi l’orecchio: nessuna vibrazione, neppure un labile tremolio, nessun ponte tra presente e passato. Anzi, forse non del tutto: solo le cose belle che vivo sfuggono al mio controllo e mi catapultano violentemente indietro, come se scattasse una molla ancora tesa dentro di me, come se la volontà di un indistinto e stupido desiderio di condivisione bussasse alla porta, come fossi tagliata in due da un netto colpo di ascia ed un ondivago senso di incompletezza mi coglie. Le cose brutte invece rimangono, si completano e si consumano dentro di me nel qui ed ora. Come avessi fretta di provare tutto il dolore che c’è da provare, giusto per togliermi ogni pensiero.
E l’estate è ormai volta al termine, inarrestabile. Un'estate che ha fatto il suo corso ed io l’ho lasciato correre e scorrere tra le mie dita e le pieghe dei miei vestiti leggeri. Un'estate senza rimedio, ma in fondo è di un perverso piacere conoscere il peso ed i meandri di ciò che non ha rimedio.
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