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Visualizzazione dei post da marzo, 2019

Lungo il fiume

Passeggiare tra la gente, in campagna, lungo un fiume mentre la primavera sta fiorendo, l’erba che diventa sempre più verde, i germogli che si inumidiscono. La gente intorno sembra contemplare tutto questo, in una sorta di estasi stagionale. Tutto sembra vada per il verso giusto, i bambini giocano a palla, i pescatori attendono pazienti la prima carpa risvegliatosi dal torpore invernale.   Sta qui tutta la vita? È per questo che merita di essere vissuta? Passo dopo passo, le nostre scarpe sulla rugiada, respiriamo leggeri e vediamo gli altri leggeri. Io vedo gli altri e gli altri vedono me in questa sorta di equilibrio apparente ma nessuno in verità sa di nessuno.   Tu mi parli mentre le mie suole calpestano il sentiero io ti ascolto in silenzio mentre un passeggino con un neonato incrocia il mio sguardo. Io vedo ma non guardo e non so. Forse anche quella mamma vede ma non guarda e non sa. Ci ignoriamo. Credo sia questa la verità. E ne abbiamo paura. Per questo andi

L'identità

Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta - e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere. Milan Kundera, “L’identità”

A piedi

Oggi ho percorso a piedi una strada che di solito faccio in auto. Una strada come tante, di quelle da cui passo ogni giorno quasi senza farci caso. Prima, seconda, terza e via. Arancione, rosso, verde e via. Questa mattina però un passo dopo l’altro ho notato particolari mai visti: quel profumo di pane di quel forno, quel circolo con quegli anziani seduti a parlare di come va il mondo, quell’appartamento con un giardino che non sembra essere in città e quasi quasi mi comprerei, quel micio rosso alla finestra che mi ha strappato un sorriso...   Sì, forse per ricucire una storia quasi persa bisognerebbe ripercorrerla a piedi.

Vivere

Sento il tempo passare. Il fruscio, gli spifferi che svincolano e graffiano i vetri. Vedo quello che andato, avverto ciò che non ho ancora masticato. Rimugino il bel tempo goduto e il mal tempo sprecato. Rammarico per quel che non ho avuto. Ogni giorno ho qualcosa. Uno schiaffo, un regalo, una sorpresa. Ogni giorno percepisco di stare su un binario talvolta in discesa, troppo spesso in salita. Non oso più sognare. Preferisco vivere.

Confessioni

Devo dirti una cosa. Che cosa? Sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista. Me lo dici così? Sono passati anni, perché ora? Non lo so. È troppo tardi. Perché? Perché ormai io non ti amo più. Perché mi amavi? Oh sì, ti amavo. Sempre che si possa chiamare amore un sentimento nascosto e non corrisposto. Ti amavo ancor prima di conoscerti quando sentivo parlare di te. Poi ti ho visto ma non sapevo che eri tu. Quella sera eri vestito di nero e avevi i capelli raccolti in un codino. Quando mi è stato consegnato il copione vidi che avrei dovuto ballare con te. Il cuore quasi impazzì quando la tua mano toccò il mio fianco e mi guardasti negli occhi. Abbassai lo sguardo ma ti strinsi più forte la mano.  Aspettai con impazienza la prova successiva. Sognavo che tu mi aspettassi e mi dicessi: posso avere un tuo bacio o prima dobbiamo fidanzarci?  Come nella tua poesia. Perché non me l’hai detto? Non potevo, non avrei sopportato un rifiuto.

Tre cose

Restano tre cose Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino, della caduta, un passo di danza, della paura, una scala, del sogno, un ponte, del bisogno, un incontro. F. Pessoa

Temporale

La realtà intonava inni stonati. Maurilia, seduta sullo scalone di fianco all’entrata del ristorante cinese, aspettava con ansia che il temporale annunciato da siti, display dissimulati, tg e vecchi pietosi e latranti arrivasse senza troppi indugi. L’aria era scura, non nera, marrone, come se il temporale, di certo alle porte, fosse escrementizio, piuttosto che piovasco. L’umidità puzzava di latrina. Forse era l’odore di qualche toilette oppure la grande porcilaia fuori città produceva in overdose. La verità presunta dispensava liturgie, per via d’ogni segno d’attorno, come se la verità, appunto, fosse il casino di tutto l’intorno riempito da segni. E Maurilia a dirsi: e vivere? Non basta vivere? Non basta più? Amare: roba difficile. Forse inutile. E poi? Cosa c’è da fare ancora? Io non so dimostrare niente a nessuno.  Dunque, aspetto il temporale.    

Per sempre

Ma tu credi al ‘per sempre’?  Il ‘per sempre’ è come credere in Dio. Credo ad un certo modo di stare insieme, ad uno stato mentale a tempo indeterminato, ad un ‘per sempre’ virtuale che poi magari nella realtà non si rivela tale ma in quel momento la tua testa ed il tuo cuore non si pongono limiti temporali. E questa sensazione è già tanto per me.  

Altro

Ho bisogno dei tuoi infinitesimi dettagli che nessuno vede, di schegge veloci e affilate che possono pure uccidere, dei tuoi piccoli frammenti, di brandelli di pelle, di tasselli notturni da inserire nelle crepe della mia vita. Ma c’è qualcos’altro che non riesco a decifrare. Per altro intendo tutto ciò che esula dal desiderio di averti che poi è desiderio clandestino di mettere la mia orma nel tuo mondo. Ogni attimo è buono per desiderare e desiderarti e magari per come siamo, come ci viviamo va bene così, senza che sia necessario “altro”. Chi ha detto che una storia debba necessariamente aver bisogno di “altro”, quell’”altro” che ogni giorno ci assilla col fiato sul collo e ci impedisce di vedere le cose semplici per come sono.

Cambiamenti

Lei sapeva che la sua anima era stata una donna contro un muro per molto tempo, intenta a raccogliere le gocce d'acqua che scendevano da una fessura. Ricorda ancora quella sensazione - molto sensuale e fiera. E sa che da lì le vennero ristoro e forza nei tempi del cambiamento. In quel periodo imparò che quello che aveva fatto, subito, patito, non contava più niente. Fu in quei giorni che il passato passò e lei poté rinascere completamente. Lavata da quell'acqua ritornò a pensare alla vita come al primo mattino, come l'erba bambina all'inizio di marzo.        

Di tutte le ricchezze

Pensò: ora vado a salutarla di nuovo. Poi subito si corresse: no, gli addii non si ripetono, la prima volta sono romantici, la seconda noiosi, la terza ridicoli o tragici. Stefano Benni, Di tutte le ricchezze 

Dove abiti?

Dove abiti? Sei di un altro mondo o ancora nel mio? Le parole che parliamo dicono che il linguaggio è comune. Ma come faccio a credere che siamo sulla stessa terra? Ma è davvero importante? Non basta sentire quello che dentro sentiamo? E non mi è difficile dare senso alle tue parole, ai tuoi urli, ai tuoi lamenti e alle tue uscite rabbiose. Tu non sei forse quello che sono stata io, e che sono ancora? Dove abiti? È forse soltanto per chiederti un appuntamento. Un luogo dove, di sfuggita, sfiorandoci, sappiamo l'essenziale l'uno dell'altro.        

Alberi

Dense macchie gialle in lontananza, luminose stelle in un cielo verde: le inarrestabili mimose, ogni anno hanno fretta di fiorire. Sono le prime. Impazienti. Se ne sbattono di eventuali gelate tardive. Ardita incoscienza. E neppure si accontentano di un colore anonimo. Loro hanno scelto il giallo. Consapevoli esibizioniste. Prime ballerine sul palcoscenico della primavera a venire. Sipario, sembrano dire, siamo arrivate prima delle rondini. E non sanno che tra pochi giorni qualcuno, credendosi gentile e nobile cavaliere, strapperà le loro esili fronde. L’acero davanti a me invece non dà alcun segno di vita, è completamente scheletrico. Come non sentisse i primi raggi di sole. Fa il sostenuto, l’indifferente, quello che se la tira con la sua aria un po’ dandy e manifesta con una sottile ostentazione la sua eleganza raffinata, come per dire, hei… ci sono anche io, non solo quelle smorfiose giallognole e malaticce. Anzi, esibisce con un certo freddo orgoglio con la sua spoglia chioma s

Ivo

Ivo s’ammantò, per decenni, del cromatismo smaltato di certi sogni che si fanno alle sette di sera, nella sala da tè, mentre intorno è profumo e bisbiglio e qualcuno, seduto di fronte, sorride. Ivo conobbe Jiro, giovane del kabuki, una notte che ambedue dormivano sotto cartoni mézzi d’umidità, a poca distanza l’un l’altro, dietro una palazzina verde di muffa. Ivo puzzava senza essere vecchio. Jiro fu gentile e passò la notte a parlargli. Negli anni, Jiro riuscì a darsi una posizione invidiabile. Guadagnò molti soldi, grazie alla cura che impiegava nel soddisfare i clienti. Il compito d’Ivo, d’allora, fu tenere in ordine casa e giardino e prenotare, ogni dì, alle sette di sera, quel tavolo per due alla sala da tè, per bere gyokuro. La notte, poi, Ivo faceva da femmina o maschio, a seconda di quel che, durante il giorno, Jiro aveva dovuto subire.

La noia

Dunque in quei giorni, una impazienza straordinaria dominava la mia vita. Niente di quello che facevo mi piaceva ossia mi sembrava degno di essere fatto; d'altra parte, non sapevo immaginare niente che potesse piacermi, ossia che potesse occuparmi in maniera durevole. A. Moravia, La noia