Erano gli spazi di gioco i luoghi dei nostri sogni. Allora ne avevamo il tempo. Le nostre agende erano piene di spazi bianchi, oltre la scuola, la messa la domenica, e la visita a zia Maria il giovedì pomeriggio. Anzi, non avevamo agende. E i nostri giochi erano imprese da grandi, ma diverse: gustate per loro stesse e non in vista di qualche obiettivo. Ci piaceva essere l’architetto (con la sabbia), il pilota, il marinaio, l’alpinista, il corridore… I più grandi c’invidiavano, di certo, dato che venivano a minacciarci e a molestarci se erano nelle vicinanze. E anche questo era un segnale che noi avevamo, allora, il segreto della vita vera.
Vieni, questa sera, con i tuoi piedini che suonano la tromba delle scale. Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro. Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa.
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