Appena fuori dal porto c’imbattemmo in una sterminata regione di cose inutili. Fu uno shock, sulle prime. Eravamo abituati al mondo dei numeri e dei profitti, al mondo in cui ciò che non ha prezzo non vale una cicca. E ora eravamo storditi dal cambiamento. Ci mettemmo un po’ per ritrovare il controllo delle navi. Ma il vento gonfiava le nostre vele, e comparve sui volti dell’equipaggio un sorriso diverso, una sorta di felicità intimidita. Sembrava che le cose inutili, che avevamo accantonato e ignorato proprio per questo, le cose inutili che avevamo lasciato fuori dai moli, avessero un incantesimo strano, suadente, inatteso. Fu durante quel lungo viaggio che scoprimmo l’utilità dell’inutile.
Vieni, questa sera, con i tuoi piedini che suonano la tromba delle scale. Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro. Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa.
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