Mia
madre guardava la televisione. Le piacevano le storie romantiche. Si
commuoveva ed era totalmente presa. Poi, quando la puntata era finita,
si alzava e rientrava nella sua vita di routine, dove (io lo sapevo) era
infelice.
Ero solo un a
ragazzina, ma credo di aver cominciato da allora a capire che non mi
sarebbe bastato l’intrattenimento televisivo come nutrimento delle mie
emozioni: avrei ricercato attivamente una mia storia reale interessante,
appassionata, significativa.
All’inizio lo specchio era solo uno specchio. Ma aveva già tutto il mistero e il potere dello specchio. Guardarsi allo specchio non andava senza conseguenze. Il mito di Narciso ne è la testimonianza. Lo specchio poteva servire per controllarsi, per un esame di coscienza, per correggersi, per un sano amor proprio… oppure poteva produrre quell’incanto, quella malia che l’innamoramento della propria immagine mette in scena e che può portare a smarrire se stessi, la realtà e a inquinare i rapporti con il mondo e le persone.
Non vivere mai il reale come un afiction, i piedi stanno per terra.
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