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Replicanti?

E fu così che ci accorgemmo che i replicanti erano già tra noi. Ci assalì il dubbio che fossimo anche noi dei replicanti. Avevamo paura di scoprire qualcosa del genere.

I nostri sentimenti erano davvero nostri? Le nostre fantasie erano forse di qualcun altro? I nostri sogni erano il frutto dei nostri veri desideri? 

Non eravamo più sicuri che provare qualcosa ci mettesse in contatto con la nostra identità. Chi sentivamo, quando sentivamo?

Com’era cominciata questa storia? 

La mia amica Frida, per esempio, quando leggeva un romanzo d’amore si accendeva nell’anima come una torcia di ginepro e non smetteva di parlarne con verve per ore e ore. Ma quando ritornava al suo lavoro e alle sue relazioni personali, al suo amante e alla sua famiglia, si trasformava in una Frida spenta, un’altra Frida…

Betty amava fantasticare con calore di fronte alla pubblicità. Una vita immaginaria si sprigionava dalle riviste femminili di cui era una vera cultrice, desumeva i suoi sentimenti del giorno dall’oroscopo…, ma quando ritornava nella realtà quotidiana diventava un televisore spento. Uno schermo sintonizzato su un canale senza segnale.

Com’era cominciato tutto questo?

Avevamo l’impressione di vivere le nostre vite (le nostre?) per interposta persona. Tutto scorreva come da programma, salvo che la fonte dell’eccitazione non sembrava venire da dentro. Più che altro eravamo spettatori di noi stessi e c’illudevamo d’avere la regia del film che si proiettava dentro.

Ma c’erano altri fenomeni inquietanti.

Una sorta di megaepidemia di mancanza d’autostima – come si chiamava allora.

I problemi si trasformavano in un parlare dei problemi: la fame nel mondo era diventato un parlare della fame nel mondo, la crisi della famiglia era un parlare della crisi della famiglia, la realizzazione di sé era un parlare della realizzazione di sé, i morti nei paesi di guerra e degli attentati terroristici era un parlare dei morti, e tutto questo parlare ci lasciava perfettamente uguali a prima che ne parlassimo, una volta che la spina era staccata. 

La psicologia era un parlare elaboratissimo dell’anima, che con l’anima aveva perso i contatti.

Avevamo la spiacevole sensazione che noi tutti fossimo in gran parte scollegati – da cosa? La vita pensata diventava un pensare la vita (di chi?).

Gli aggettivi sembravano avere una vita propria senza alcun collegamento con qualche sostantivo.

C’era ancora qualcuno che fosse il soggetto reale delle sue passioni?

Le colpe erano diventati spiacevoli sensi di colpa, e la fierezza era un sentimento che provavamo vedendo certi film, come L’ultimo Samurai…

Come fosse cominciato tutto questo era impossibile da stabilire.

Ma alcuni di noi cominciarono a rendersene conto e ritrovarono un nucleo minimale d’identità proponendosi una sorta di risveglio.

Smettemmo di ingozzarci tutti i giorni d’informazioni e di spettacoli.

Molti si decisero per lunghi periodi di vita selvaggia nelle foreste o nei parchi nazionali.

Volevamo una sorta di palestra per disimparare.

Ci scollegammo temporaneamente dalle varie centrali che immaginavano per noi.

Scegliemmo attività in cui lo sforzo muscolare fosse predominante.

Volevamo scoprire se e in che misura fossimo ancora di carne umana.








Commenti

  1. proprio vero: in vivere talmente filtrato da non essere più vivere.
    L'hai detto meravigliosamente, come sempre

    RispondiElimina
  2. Molto spesso spesso non siamo repliche ma siamo davvero così.

    RispondiElimina
  3. Si vede che sono foto di un professionista

    RispondiElimina

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